Con la L. 96/2018 è stato introdotto il reato di somministrazione fraudolenta di manodopera. Tale reato si configura allorquando vi sia un’attività di somministrazione posta in essere con la finalità specifica di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate ai lavoratori. L’illecito in questione è punito con l’ammenda pari a 20 Euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione. Sul punto, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (“INL”), con la circolare 3/2019, ha fornito indicazioni operative agli ispettori. In particolare, secondo l’INL, il ricorso ad un appalto illecito costituisce già di per sé elemento sintomatico di una finalità fraudolenta. Sempre secondo l’INL, Il reato in esame può integrarsi in altre situazioni, come ad esempio nell’ipotesi di distacco transazionale non autentico ex art. 3, D.Lgs. 136/2016. Alla luce di tutto quanto esposto occorrerà costruire o aggiornare il Modello 231 così da prevenire la configurazione di questo reato, mediante l’implementazione di apposite procedure e protocolli di prevenzione. Ciò in quanto ad eventuali accertamenti da parte degli ispettori potrebbero seguire eventuali accertamenti da parte dell’autorità giudiziaria. L'”intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” ex art. 603bis cod. pen. è, infatti, un reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti (art. 25quinques D.Lgs. 231/2001).

E’ in fase di esame alla commissione Giustizia del Senato il disegno di legge n. 726 (“Ddl”) che introduce importanti modifiche al D.Lgs. 231/2001 (“Decreto”) il quale disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica (gli “Enti” o singolarmente l’ “Ente”)).

La responsabilità amministrativa degli Enti

Come noto, il Decreto ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli Enti per determinati reati commessi, nel loro interesse o a loro vantaggio, da soggetti che rivestono al loro interno una posizione apicale o ad essi sottoposti.
I reati sono tassativamente indicati nel Decreto, il cui novero, negli anni si è via via ampliato, arrivando a comprendere, tra gli altri, i seguenti reati: i reati contro la pubblica amministrazione, i delitti informatici e sul trattamento illecito dei dati, i reati societari, i reati commessi con finalità di terrorismo e criminalità organizzata, i reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commesse in violazione delle norme poste a tutela dell’igiene e della salute sui luoghi di lavoro, i reati ambientali, i reati di riciclaggio, ricettazione e impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita nonché i delitti contro l’industria ed il commercio.

Le sanzioni astrattamente applicabili in caso di violazione delle disposizioni ivi contenute (e dunque, nel caso di commissione di uno dei reati previsti dalla normativa) sono molteplici, potendo comportate l’applicazione:

– di una sanzione pecuniaria per quote, che potrebbero determinare un esborso economico per l’Ente da un minimo di 25.800 euro fino ad un massimo di 1.549.000 euro;
– di una sanzione interdittiva, quale (i) il divieto di svolgere l’attività lavorativa, (ii) la sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze e concessioni, (iii) il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, (iv) l’esclusione da agevolazioni, contributi e sussidi nonché (v) il divieto di pubblicare beni o servizi;
sanzioni accessorie, quali la pubblicazione della sentenza di condanna e la confisca di somme equivalenti al valore del profitto tratto dall’illecito penale.

Al fine di non incorrere in responsabilità l’Ente deve dimostrare di (i) aver adottato ed efficacemente attuato un valido modello di organizzazione, gestione e controllo (“modello 231“) volto a prevenire la commissione dei reati sopra visti, nonché (ii) aver istituito un organismo di vigilanza (“OdV”) incaricato di far rispettare il modello 231. Organismo che deve essere correttamente e regolarmente funzionante e vigilare correttamente.
La giurisprudenza ha più e più volte segnalato l’opportunità per le società di dotarsi di un modello 231, anche se lo stesso non è, ad oggi, obbligatorio, a dimostrazione dell’importanza che sta assumendo nel sistema di compliance aziendale.
Come si legge nel comunicato del Senato del 30 luglio 2018, il modello 231 consiste in un insieme di vari elementi (disposizioni organizzative e procedimentali di controllo, di sicurezza, di supporto e codici di comportamento) che compongono un vero e proprio sistema di gestione preventiva dei rischi aziendali. La sua adozione comporta, altresì, un miglioramento dell’efficacia e trasparenza del funzionamento dell’Ente.

L’obbligatorietà del modello 231

Il Ddl intende introdurre l’obbligatorietà del modello 231 e dell’OdV per determinate categorie di Enti.

In particolare, si tratta delle società di capitali e delle società consortili che anche solo in uno degli ultimi tre esercizi abbiano riportato

(i) un totale dell’attivo dello stato patrimoniale non inferiore a 4.400.000 euro, o
(ii) ricavi delle vendite e delle prestazioni non inferiori ad 8.800.000 euro.
Tali Enti devono, inoltre, depositare presso la Camera di Commercio sia la delibera di nomina dell’OdV che quella d‘approvazione del modello 231, entro 10 giorni dalla relativa adozione. In caso di mancata ottemperanza le società obbligate sono condannate al pagamento di una sanzione amministrativa di euro 200.000.

Conclusioni

Se il Ddl, alla fine dell’iter parlamentare, dovesse essere approvato quella che fino ad oggi era una facoltà rimessa alla libera scelta dei singoli imprenditori, diventerà un obbligo. Con questo intervento normativo verrebbe, infatti, rafforzato l’impianto del Decreto e le società che non si sono ancora conformate ad esso saranno obbligate a farlo. Di conseguenza, la platea degli Enti chiamati a predisporre i modelli 231 verrà inevitabilmente ad allargarsi.

 

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